Sono state presentate il 15 dicembre 2020 da D.i.Re, Donne in rete contro la violenza e UNHCR, Alto Commissariato per i rifugiati, le Proposte strategiche per migliorare la risposta del sistema antiviolenza italiano ai bisogni specifici di donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che hanno subito violenza, un documento frutto del progetto Leaving violence. Living safe realizzato da D.i.Re con il supporto di UNHCR a partire dal 2017 per facilitare l’accesso delle donne richiedenti asilo e rifugiate al supporto offerto dai centri antiviolenza D.i.Re.
Sono oggi 71 i centri antiviolenza della rete D.i.Re che hanno preso parte al progetto Leaving violence. Living safe, accogliendo 301 donne, formando 179 operatrici e 50 mediatrici culturali, attivando collaborazioni stabili con 42 di loro, adattando la metodologia dei centri antiviolenza e costruendo relazioni con un gran numero di enti pubblici e organizzazioni nei diversi territori per assicurare un supporto ai loro bisogni specifici.
Nel sistema antiviolenza italiano però, le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate restano ancora in larga parte “invisibili”, oppure vengono confinate soprattutto nei percorsi anti-tratta, che riguardano però solo una parte di loro.
Le Proposte strategiche presentate da D.i.Re e UNHCR guardano ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza secondo i principi della Convenzione di Istanbul, ovvero come un continuum che deve andare dall’accoglienza telefonica all’autonomia, compreso l’inserimento lavorativo, combinato con le specifiche esigenze di donne che sono nel percorso della protezione internazionale.
Per questo suggeriscono azioni per tutti gli attori che agiscono non solo nel campo della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere – centri antiviolenza, Dipartimento per le Pari opportunità, enti locali, servizi sociali e sanitari – ma anche per gli attori sia pubblici che della società civile che si occupano di inclusione di migranti richiedenti asilo e rifugiati/e, comprese le comunità e organizzazioni a cui migranti e rifugiati/e hanno dato vita, gli enti gestori delle strutture di accoglienza e istituzioni essenziali quali Ministero dell’Interno, Prefetture, Questure e Commissioni territoriali.
Si va dalla richiesta di inserimento nel nuovo Piano nazionale antiviolenza di misure che possano facilitare l’inclusione delle migranti richiedenti asilo e rifugiate nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, compresa la formazione e l’inserimento delle mediatrici nelle equipe dei centri antiviolenza, ad azioni di coordinamento operativo tra chi lavora in istituzioni e organizzazioni a diverso livello – nazionale e locale, compresi il Tavolo antiviolenza, il Tavolo Antitratta, le istituzioni che si occupano di protezione internazionale, le organizzazioni della società civile comprese le associazioni di migranti e rifugiati/e, i servizi socio-sanitari, gli enti che si occupano di inserimento lavorativo – per creare quelle équipe allargate – o “équipe al quadrato” – che possono facilitare il supporto a donne richiedenti asilo e rifugiate, ottimizzare le risorse esistenti e rafforzare l’inclusione sociale e l’autonomia.
“L’elaborazione del nuovo Piano nazionale antiviolenza triennale è una occasione preziosa per ripensare il sistema antiviolenza italiano in chiave più integrata e inclusiva, valorizzando e sostenendo il lavoro che i centri antiviolenza già fanno per intercettare e supportare donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che hanno subito violenza”, afferma Antonella Veltri, presidente di D.i.Re. “Ma un sistema antiviolenza efficace nasce da un impegno consapevole di tanti attori, perché ciascuno può e deve fare la sua parte, anche per rendere sostenibile e più efficace il lavoro dei centri antiviolenza stessi”.
“UNHCR e D.i.Re lavorano insieme per dare risposte concrete che possano far superare il trauma degli abusi alle tante donne richiedenti asilo e rifugiate che arrivano in Italia e che sono sopravvissute a violenze di genere. L’obiettivo è che siano identificate velocemente e che abbiamo accesso ai centri antiviolenza e ad un’assistenza adeguata” ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Sante Sede e San Marino. “A tal fine siamo pronti a sostenere il Ministero delle Pari Opportunità nel formulare il piano triennale antiviolenza, affinché tutte abbiano una possibilità per rinascere”.
“Il progetto Leaving Violence. Living Safe emerge con un approccio innovativo e strategico, competente e con coraggio di visione, che è importante valorizzare e promuovere all’interno del nuovo Piano Antiviolenza, per quanto riguarda in particolare il focus sulle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate”, ha detto in conferenza stampa la Ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, assicurando il suo supporto alle Proposte strategiche. Occorre “promuovere la coerenza e individuare possibili forme di integrazione tra i Piani nazionali Antiviolenza e Antitratta, entrambi in corso di rinnovo”, ha aggiunto, e “affrontare, anche grazie alla nuova legge sulle statistiche di genere appena presentata in Parlamento, la sfida di far emergere la violenza invisibile subita dalle donne migranti e rifugiate“.
Per Valeria Guagnelli, operatrice e mediatrice al Centro antiviolenza Rompi il silenzio di Rimini, “occorre superare il funzionamento a compartimenti stagni dei diversi sistemi e attori, e adottare un approccio nuovo, olistico e mutualistico, in cui la formazione sulla violenza di genere subita da donne migranti richiedenti asilo e rifugiate coinvolga tutti gli attori, compreso chi lavora nelle strutture di accoglienza”.
“Il coordinamento è fondamentale anche per assicurare l’accesso alle case rifugio dei centri antiviolenza per le donne inserite nel sistema di accoglienza o che, una volta uscite dal sistema, non riescono a ottenere un regolare contratto di affitto e dunque la residenza”, ha notato Carlotta Cosimini, operatrice di Amica Donna, Montepulciano (Siena), “senza far venir meno ai centri antiviolenza le rette che assicurano il funzionamento delle case rifugio e senza interrompere il percorso di accoglienza migratoria”.
Mimoza Shembitraku, operatrice e mediatrice al centro VivereDonna di Carpi (Modena) ha sottolineato l’impegno dei centri D.i.Re “per identificare una operatrice e una mediatrice culturale che possano fungere da punto di riferimento per gli operatori e le operatrici dei centri di accoglienza, per facilitare l’emersione della violenza” chiedendo agli enti locali “un impegno per creare sportelli di orientamento al lavoro multidisciplinari che includano le mediatrici e operatrici dei centri, perché è risolvendo i loro bisogni primari – lavoro e reddito – che si creano occasioni per affrontare anche la violenza subita”.
Per Laura Cogoy, operatrice del GOAP di Trieste, “sportelli itineranti e multidisciplinari e spazi informali dove le donne possano scambiarsi esperienze, conoscersi e conoscere il territorio, sono essenziali per far sì che non siano le istituzioni che le supportano a determinare i loro bisogni, ma che possano esprimerli in prima persona e agire quella libertà di scelta che è un valore fondante di qualsiasi percorso di fuoriuscita dalla violenza”.
“Nei territori esistono già molti coordinamenti di tipo istituzionale, ma occorre dar vita a gruppi operativi che diventino vere équipe estese, che noi chiamiamo ‘équipe al quadrato’,” ha suggerito Siham Hibu, operatrice e mediatrice culturale della Casa di accoglienza per le donne maltrattate di Milano, “costruendo una collaborazione che è un valore aggiunto per ognuno degli attori che si impegnano sia nella fuoriuscita dalla violenza che nell’inclusione dei/lle migranti. E introdurre figure di mentor, donne delle diverse comunità, ma già residenti in Italia, che possono orientare le altre donne nell’avvio della loro vita in autonomia nel nostro paese”.
“L’autonomia personale, una casa, un lavoro, il reddito, sono essenziali per uscire dalla violenza, ma sappiamo che per le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate gli ostacoli sono ancora maggiori che per le altre donne”, ha affermato Irene Fucsia, operatrice del Centro Donna Lilith di Latina. “Gli enti locali possono fare molto, sia investendo nella formazione e nell’inserimento delle mediatrici culturali nei centri, sia formando attivando percorsi formativi affinché le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate possano non solo essere beneficiarie dei progetti, ma anche gestirli e amministrarli autonomamente”.
In chiusura Rita Pellegrini, consigliera di D.i.Re per l’Abruzzo e operatrice del centro antiviolenza Ananke di Pescara, ha evidenziato come “le Proposte strategiche riguardano anche quello che i centri antiviolenza e la rete D.i.Re possono ancora fare, oltre a quanto hanno già iniziato a fare e stanno facendo nell’ambito del progetto Leaving violence. Living safe”, annunciando la creazione di un “Gruppo di lavoro costituito da mediatrici culturali, operatrici, avvocate ed esperte e dedicato specificamente a Donne migranti richiedenti asilo e rifugiate, e l’impegno ad ampliare le nostre conoscenze sui paesi di provenienza delle donne che accogliamo, anche con il coinvolgimento di leader femministe in questi paesi. Perché è dalla relazione tra donne che nasce il cambiamento”.
Le Proposte strategiche possono essere scaricate qui.
La presentazione dei dati del progetto Leaving violence. Living safe può essere scaricata qui.